L’Australia in fiamme

L’Australia in fiamme
Dopo gli incendi che hanno sconvolto l’Australia negli ultimi mesi, i koala sono una specie considerata ormai naturalmente estinta, poichè non più grado di far ripartire la specie in habitat naturali.

Da più di tre mesi, l’Australia è devastata da incendi, che hanno provocato non solo la morte di una trentina di persone e di 500 milioni di animali, alcuni dei quali a rischio di estinzione, come i koala, ma anche la distruzione di più di 8 milioni di ettari di foreste, soprattutto nelle regioni del New South Wales, del Queensland e della Victoria. I fattori scatenanti di questi incendi sono i cambiamenti dovuti al surriscaldamento globale e la fragilità dell’ecosistema australiano. Ogni anno, con il sopraggiungere della stagione arida, in tutto il Paese si diffondono gli incendi, causati perlopiù da fulmini, che colpiscono il bush, una savana semiarida costituita da erbe e arbusti contenenti sostanze infiammabili, quali oli e resine.

Secondo gli esperti, il clima dell’Australia è arido durante la stagione calda da circa 100 milioni di anni, quando, a seguito dei movimenti delle zolle che compongono la crosta terrestre, la placca oceanica si è distaccata da quella antartica, spostandosi verso sud fino a raggiungere la posizione che occupa attualmente. Ciò che rende ancor più grave l’ondata di incendi è la siccità, che si protrae da 2 anni. Il 2019 è stato per l’Australia l’anno più caldo e secco mai registrato dal 1900 ad oggi, caratterizzato infatti dalla mancanza di oltre un terzo delle piogge che normalmente cadono sul continente. Questa siccità è dovuta al fatto che l’Oceania, differentemente dagli altri anni, non è stata investita dal Niἦo, un vento proveniente dall’America meridionale che porta con sé piogge e umidità, e al suo posto è sopraggiunta aria calda dall’Africa e dall’Asia, incrementando la temperatura media di oltre 1,5° C rispetto a quella registrata l’anno precedente. Un’altra causa dell’anomalo aumento della temperatura è strettamente connessa alla formazione di una corrente d’aria calda in prossimità della stratosfera al di sopra l’Antartide, dove si sono registrate temperature intorno ai 40° C. Uno dei settori dell’economia australiana più sviluppati è quello legato all’estrazione del carbone, di cui il 40% viene esportato in l’India, Cina e Giappone, e il restante utilizzato per l’industria interna. Col tempo, l’uso del carbone ha portato all’incremento dell’emissione di anidride carbonica e altri gas nocivi nell’atmosfera, intensificando ulteriormente l’effetto serra, principale causa del changing global warming. Contrariamente a quanto promesso con l’Accordo di Parigi, sottoscritto nel 2015 insieme ad altri 194 paesi, l’Australia non si sta impegnando a sufficienza nella decarbonizzazione dell’economia, funzionale a limitare il più possibile l’impiego del carbon fossile.

Purtroppo siamo molto lontani dall’obiettivo auspicato dalla Comunità Scientifica Mondiale, cioè la diminuzione dell’incremento annuo della temperatura media mondiale riducendolo da 2,7° C attuali ad almeno 1,5 °C. Questa diminuzione potrebbe essere ottenuta con un impegno serio da parte delle politica internazionale e con un cambiamento del nostro stile di vita; qualora si proseguisse “as business as usual”, la temperatura salirebbe di 4,5° C, aumento drammatico per le sorti del pianeta Terra.

Come afferma Wolfang Behringer, docente di Storia presso l’Università di Saarland, in Germania ed autore del romanzo “Storia culturale del clima”, l’unica possibile soluzione al surriscaldamento globale è l’adattamento. “La natura non deve adattarsi all’impatto antropico, ma siamo noi che dobbiamo adattarci alla natura e assumerci le responsabilità delle nostre azioni.” Il processo di industrializzazione innescato con la Rivoluzione Industriale, l’estrazione di materie prime come petrolio e carbone, da cui ricavare energia, ha portato all’emissione di miliardi di tonnellate di gas nocivi, che come in una serra intrappolano le radiazioni solari. Secondo il letterato, per vedere neutralizzati gli effetti del cambiamento climatico, bisognerebbe attendere se non decine, addirittura centinaia di migliaia di anni. I duraturi incendi australiani sono solo una delle numerose conseguenze del surriscaldamento come lo scioglimento delle calotte polari e il conseguente innalzamento dei mari, alluvioni sempre più frequenti, la desertificazione di terreni un tempo fertili e l’estinzione di alcune specie animali e vegetali. Per evitare una maggiore diffusione di questi fenomeni e rimediare in parte ai propri errori, l’intera umanità, diretta da una politica seria sull’ambiente si dovrebbe impegnare nel sostituire i combustibili fossili con forme di energie rinnovabili (acqua, vento, radiazioni solari e calore interno della Terra), riciclare i rifiuti per non inquinare le falde acquifere, non sprecare le risorse disponibili e trovare un metodo per assorbire i gas tossici che si sono accumulati nell’atmosfera.

Per verificare qual è la tua “impronta ecologica” sul pianeta rispondi a questo breve questionario:

http://www.fondazionetrebeschi.it/homepage/impronta-ecologica/

ANDREA CITTADINI, 5A

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