Dieci giorni che ti cambiano la vita

Dieci giorni che ti cambiano la vita

Dieci giorni a Gornja Bistra ti cambiano la vita. All’inizio ci sono l’indecisione, la partenza, le risate sul pullman, il sonno e il continuo lamentarsi per la scomodità di dormire su un sedile: sono partita alle 3 di notte e non sono ancora riuscita a dormire per due ore filate, ho fame e non so quante ore mancano, ma quasi vorrei tornare a casa. Poi l’autista prende il microfono e dice: “Ragazzi, siete arrivati”. Controvoglia mi alzo, metto la felpa, prendo lo zaino, sto per scendere e “oh, ca**o, ho dimenticato le cuffiette sul sedile”, penso. Scendo, è pieno di persone che si abbracciano, si rivedono dopo tanto tempo, ma per me sono solo volti nuovi e non capisco. Ho solo sonno, non vedo l’ora di montare la tenda e riposarmi un po’.

Dopo aver faticato la tenda è montata, ho pranzato e arriva il momento più atteso, la prima visita dell’ospedale. Vedo i ragazzi e penso: “io qui non ci sto, voglio tornare a casa, ma chi me l’ha fatto fare?”. Esco, mi presentano le attività che faremo nei successivi dieci giorni, e i turni di quello dopo. Penso con tutta me stessa: “speriamo di non avere la colazione, voglio dormire e non ho voglia di socializzare.” Scorro il dito sul foglio: squadra verde, Lira, servizi. “Che cu*o, iniziamo bene!”, penso.

Sono le 7 del mattino, il ritrovo per preparare la colazione è alle 7:15. Mi alzo, vado vicino al tendone, sono la prima. Fumo una sigaretta, aspetto gli altri e controvoglia inizio, in silenzio, quasi non mi presento ai miei compagni di squadra. Sono le 7 del mattino, non ho voglia di parlare. Per continuare ancora meglio la prima giornata di tendopoli, dopo la colazione che faccio? Pulisco i cessi. Che cu*o, nuovamente!

Dopo pranzo scorro di nuovo il dito. Squadra verde, ospedale. Penso di voler finire in fretta, non mi sento pronta e non so che cosa succederà. Entro nell’ospedale, faccio un giro rapido, disinfettandomi le mani prima e dopo l’ingresso in ogni stanza. Stanza 10, Antonio, in una frazione di secondo mi innamoro. Mi guarda con i suoi occhioni blu, mi stringe le mani, gli accarezzo i capelli biondi e corti, piango. E così inizio ad andare, lentamente, da tutti i ragazzi, anche solo per una carezza, una battuta “che neanche capiscono”, penso. E invece basta uno sguardo, una stretta di mano. Rivivo tutta la mia vita e non capisco che cosa mi stia succedendo. Sento qualcosa che mi si stringe dentro, sono felice. In men che non si dica arrivano le 18 e il mio turno è quasi finito, corro nella 10, da Antonio. L’infermiera mi chiede se voglio dargli la cena e annuisco timidamente. Lo imbocco lentamente, e a ogni boccone mi guarda con quegli occhioni blu di cui poco prima mi ero innamorata. Finisco il turno alle 18:30 e non vorrei mai andarmene via, vorrei che il tempo si fermasse.

E così dopo sole poche ore è cambiato tutto. Da “io qui non ci posso stare” a “da qui non mi voglio più muovere.” Non vedo l’ora che arrivi il prossimo turno che dovrò passare con i ragazzi, e controllo sul libretto. Terzo giorno, squadra verde, parco. Finalmente. È una mattina di sole, la felpa non serve e, assonnata, mi metto vicino a Mate, che disegna sull’i-pad. Mi prende la mano, ride e disegna. Copia in modo perfettamente uguale il disegno alla sua sinistra e penso: “che spettacolo”. Vorrei che questo turno non finisse mai, continuo a ripetermi quanto sia speciale, quanto sia intelligente, quanto sia bello passare del tempo con lui. Il turno purtroppo finisce, mangio e penso che tanto la mattina successiva avrò di nuovo il turno in ospedale. Sarà l’ultimo e decido di godermelo al massimo. Passo più tempo che posso con chiunque, sorrido, stringo le mani, guardo negli occhi i ragazzi che con uno sguardo comunicano più che con mille parole.
Arriva il momento del pranzo e Michela mi domanda: “vai nella stanza dei piccoli a dare il pranzo?”. Vorresti stare da Antonio ma sì, annuisco, vado e inizio a imboccare Valentina. Non finisce tutto, così l’infermiera mi parla in croato. Non capisco mezza sillaba, la guardo esterrefatta e mi fa segno di prendere in braccio la bambina e mettere la ciotola del cibo dall’altro lato della stanza. A metà del tragitto Valentina decide di sputarsi addosso ciò che ha mangiato e poi mettermi una mano nei capelli. “Favoloso, mancava solo questa”, penso, quasi mi viene da piangere dal nervoso. Così mi faccio la coda, la svesto, la insapono, le lavo i capelli. Ho paura di farle male, di toccarla nel modo sbagliato. Appena prendo confidenza le spruzzo un po’ d’acqua sul viso e lei ride. Sono contenta. L’infermiera mi fa i suoi complimenti e io esco dalla stanza, piangendo, commossa. Vado nella sala giochi, faccio una foto nella piscina di palline colorate con la mia squadra e poi corro a farmi una doccia, senza mangiare.
Durante la pausa vado al market in fondo alla strada. Compro le sigarette, ne ho bisogno, sono tesa. Le patatine, 3 bottiglie d’acqua e una Coca. “Non costa niente la vita, qui”, penso. Esco dal market e corro in ospedale a bermi un caffè, adesso che finalmente ho le kune. Faccio il mio turno pomeridiano e penso che il pomeriggio successivo passerò la giornata al parco, con i ragazzi. Sono felice e non vedo l’ora.

Passo il pomeriggio con Nina. Due ore a camminare mentre lei mi parla e mi dice: “Ilaria, tocca lisci”, mi tocca i capelli e ride. Lei per i capelli impazzisce. E poi: “Ilaria?”, “Sì, amore? Dimmi”, una pausa infinita e penso che non risponderà. Poi dopo un minuto in silenzio dice: “sei bellissima!”. Mi vengono le lacrime agli occhi, la abbraccio, le do un bacio sulla fronte e le dico: “Amore mio, sei bellissima anche tu!” Ride, è felice. Finisco il turno e vorrei che il tempo si fermasse, nuovamente.
Mancano un paio di giorni alla fine della tendopoli, sono qui solo da otto giorni ma mi sembra passata una vita. Sì, una vita, perché a Gornja Bistra perdi il senso del tempo. Ti diverti, sei incredibilmente felice, ti fai nuovi amici, da un lato il tempo vola ma dall’altro ti sembra di essere lì da mesi. E non vorresti mai tornare.
La terz’ultima sera c’è la messa. I ragazzi dell’ospedale partecipano e cantano, suonano i loro strumenti. Faccio video, foto. Arriva il momento della processione per arrivare alla casetta blu della fondazione. Porto Nina. Spingo la carrozzina e penso: “mio Dio, è pesante in salita, quando arriviamo?” Lei guarda i fuochi d’artificio, è felice e continua a ripetermi “Ilaria, sei bellissima”. La riporto nella sua stanza, le do la buonanotte e un bacio. Sorride e penso di non aver bisogno di nient’altro nella vita. La sera successiva c’è la festa di Meggy, la pazza Meggy, per i suoi quarant’anni. Ballo, mi diverto, faccio una foto insieme a lei e ancora non so che la riguarderò all’infinito. I suoi occhi sorridenti e la sua spensieratezza mi rubano il cuore. Sto nel parco dell’ospedale con i volontari fino alle 6 del mattino, è l’ultima sera e il giorno dopo partirò. Vorrei non finisse mai.

E così arriva l’ultimo giorno. Colazione, smontaggio, pranzo, finisco le ultime cose e arrivano le 18. Ultimo giro in ospedale. Non vedo l’ora ma penso che non mi commuoverò. “Dopotutto è un giro di 10 minuti”, penso. Inizio dalla stanza di Nina e Mate. Li guardo e inizio a piangere, li bacio, li saluto. Saluto Dejan, che un paio di giorni prima mi aveva stampato un pizzicotto sulla coscia. Sorride. Sono felice. Salgo le scale, entro in tutte le stanze, arrivo alla 10, saluto Antonio. Sorride. Entro nella 8, vado da Domagoj e gli dico: “Amore, come fa la mucca?”, lui mi guarda, ride e dice: “Mmuuuu”. Esco piangendo e corro in fondo al corridoio, nell’ultima stanza. C’è Marja, sempre solare, la guardo e penso a tutte le volte in cui, uscendo dall’ospedale, urla: “Oooooh, Edoooooo!”. Mi guarda piangere e mi dice: “Ilaria anche tu torna Italia?”, piangendo rispondo: “Sì amore”, e lei subito ribatte: “Hajde, no piangere, tu torna!”. Fiume di lacrime.

Esco dall’ospedale e vorrei che il tempo si fermasse, fumo una sigaretta, mi siedo insieme agli altri e continuo a piangere, ininterrottamente, fino all’ora di cena. Mangio la pizza. C’è il concerto, inizia. Io ricomincio a piangere e continuo fino alla partenza. Abbraccio i miei nuovi amici, “ci rivedremo presto”, “mi mancherai tanto amò”, “ci vediamo l’anno prossimo eh!”.
Salgo sul pullman, parto e so che mi manca un pezzo. Un pezzo di cuore, di anima, un pezzo che ritroverò solo tornando lì. E non vedo l’ora di tornare. È diventato il mio posto del cuore, gli appartengo. Mi appartiene. Ho imparato a vedere il mondo da un’altra prospettiva, ad amare. Amare davvero, si intende. Il mio carattere è cambiato. Il mio modo di fare. Sono cambiata in dieci giorni, grazie a un viaggio nato per gioco. Mi sono innamorata di un posto che prima non pensavo avrei mai visto. E so che mi sentirò nuovamente completa solo tornando là. E non vedo l’ora di tatuarmi una rosa blu, per avere quelle sensazioni stampate sulla pelle sempre con me.
HVALA, GRAZIE!!!

Articolo scritto da Ilaria Pelati, 5F

 

Pubblicato da ilgiornalinogigli

Giornalino d’istituto📰 News, info e aggiornamenti e articoli direttamente dall’Istituto Superiore Lorenzo Gigli!! #giornalinogigli linktr.ee/giornalinogigli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.