The Irishman: il ritorno di Martin Scorsese

The Irishman:  il ritorno di Martin Scorsese

The Irishman, o come mi piace chiamarlo Quei bravi ragazzi 2: la vendetta, dal precedente film di M. Scorsese, Goodfellas, del 1990. La sceneggiatura riprende il classico cliché della vita mafiosa. Frank, il protagonista, è l’uomo  giusto al momento giusto e si ritrova invischiato in un nanosecondo nella criminalità organizzata, ovviamente di origine italiana, e inizia a diventarne parte attiva, prendendoci gusto e dando naturale sfogo alla sua natura violenta. La sua ricerca di successo va di pari passo alla  distruzione dei valori morali  sostituiti dal codice d’onore tipico della mafia.

Il ritorno sulle scene di Robert De Niro nei panni del picciotto, per quanto non fosse necessario, è certamente una scelta significativa in una cornice storica che abbraccia cinquant’anni di storia americana. Nel suo viaggio è affiancato da altri pilastri hollywoodiani come Al Pacino, Joe Pesci e Harvey Keitel. L’utilizzo di attori di questo calibro è sempre rischioso perché finiscono per ricordarti altri ruoli, altre facce,  riportandoti alla mente altre pellicole. Nel mio immaginario Joseph Pesci è Leo Getz di Arma letale e Harvey Keitel è, e resterà sempre, Mr. Wolf di Pulp Fiction

L’intreccio è scandito da due vicende che si intrecciano e si sovrappongono; la prima racconta la vita di Frank Sheeran, autista di camion che, grazie ad un fortunato guasto al suo veicolo, incontra Russell Bufalino (Joe Pesci), capo mafioso che lo introduce nel suo mondo borderline, e l’altra narra la vita di Jimmy Hoffa, sindacalista di fama mondiale e l’avvicendarsi della sua esistenza in bilico tra le promesse e le rivendicazioni di giustizia sociale ed i suoi legami con la cosca. Il dualismo di quest’ultimo personaggio è interpretato in modo magistrale da Al Pacino: la figura pubblica in contrasto con quella privata, il padre di famiglia, di sani principi, amico della gente e difensore dei lavoratori e degli oppressi che deve scendere a patti con la peggior feccia criminale per ottenere risultati concreti. La politica non può mai andare d’accordo con la giustizia, ma sempre e solo con il potere. Tutto questo è racchiuso in una pellicola di tre ore e mezza che rende talvolta la visione piuttosto pesante e sonnolenta.  Si sarebbe ottenuto un risultato  più piacevole  seguendo l’esempio del regista Ned Benson, autore del film La scomparsa di Eleonor Rigby, nel quale la storia è raccontata da due punti di vista, due diversi piani psicologici e umani, prima quella del marito e poi quella della moglie. Sullo stesso stile, si poteva girare una prima parte dal punto di vista di Frank e una seconda, dal punto di vista di Hoffa ottenendo due ottimi film. 

Se pur faticoso, il risultato finale è pura scuola di cinema ed è sempre un’opera di pregio. È stato bello rivedere un De Niro all’altezza del suo nome, e non quel vecchio patetico mostratoci in Nonno scatenato o Ti presento i miei, film comici e di cassetta. Tuttavia in The Irishman  non tutte le scene hanno la stessa qualità e lo stesso grado di realismo. Ad esempio, la scena del pestaggio di un negoziante per strada da parte di Frank è davvero imbarazzante, al limite della comicità. È chiaro come il sole che quello che sta picchiando un uomo inerme, steso sull’asfalto, non è un vigoroso quarantenne, ma un De Niro anziano e in po’ artritico. Se i due diversi piani temporali fossero stati interpretati da due diversi cast, uno con questi mostri sacri nella loro reale età anagrafica, e uno con attori più giovani, avremmo dato spazio a volti nuovi e ottenuto un film più credibile e onesto. Resta il fatto che De Niro è tornato, che Al Pacino è sempre un re, che Joe Pesci è un fuoriclasse e quest’anno potrebbe portarsi a casa l’Oscar dell’Accademy e sarebbe meritatissimo. Non sono d’accordo con chi pensa che il regista Martin Scorsese sia bollito e che abbia perso colpi: le leggende hanno sempre qualcosa da insegnare e da trasmettere alle nuove generazioni. Proprio per questo mi piacerebbe vederlo lavorare con giovani attori che potrebbero solo migliorare e maturare sotto la regia di un genio come lui. Definire finito Scorsese, quando vengono osannati registi commerciali come Michael Bay che continua a produrre spazzatura, colorata da esplosioni e inquadrature nauseanti, è quasi una bestemmia: lunga vita a Martin.

Carlo Visonà V D

Pubblicato da ilgiornalinogigli

Giornalino d’istituto📰 News, info e aggiornamenti e articoli direttamente dall’Istituto Superiore Lorenzo Gigli!! #giornalinogigli linktr.ee/giornalinogigli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.