Tra cimeli e racconti, la Prima guerra mondiale in mostra al Gigli

Tra cimeli e racconti, la Prima guerra mondiale in mostra al Gigli

Un elmetto Adrian, un’uniforme verde Alpi e degli scarponi in cuoio chiodati. Non siamo soldati nelle fangose trincee sul fronte e neanche visitatori di un museo della Grande Guerra. Siamo gli studenti della 5T, che nella mattina di mercoledì 18 gennaio hanno partecipato a un incontro in biblioteca a cura di Mirco Marini

Ex alpino, appassionato e collezionista di storia, Marini tramite il gruppo “Avanti Brixia” di cui è fondatore si impegna nel far rivivere la storia non solo tramite rievocazioni, ma anche attraverso testimonianze, reperti e documenti. Per noi studenti ha allestito una mostra di cimeli storici, illustrando la vita del soldato con riferimenti anche ad azioni belliche e ad aspetti linguistici legati alla Prima guerra mondiale. 

Nel giorno della mostra, l’esperto indossava un’uniforme del 1909 color verde Alpi. Questo     colore – ci ha raccontato – era scelto appositamente per mimetizzarsi durante la guerra contro l’Austria, a differenza di quanto accadeva con le precedenti divise, tinte di colori sgargianti per permettere il riconoscimento dei compagni in mezzo alle polverose battaglie. I soldati erano poi muniti di elmetto, inizialmente dell’Adrian 13 fornito dai francesi, poi rimpiazzato per motivi economici dall’Adrian 16, prodotto in Italia. Marini inoltre indossava in vita una giberna, cioè una cintura con i sacchettini dei colpi, e sui polpacci delle strisce di tessuto chiamate “fasce mollettiere”, che in trincea non permettevano ad acqua e fango di entrare all’interno degli scarponi.

Dai capi di abbigliamento Marini è passato alla descrizione degli oggetti usati dai soldati: gavette e borracce di metallo che potevano essere messe sul fuoco per riscaldare il cibo o usate per sciogliere l’acqua ghiacciata, tenaglie utilizzate dalla compagnia della morte per tagliare il filo spinato, talvolta maschere antigas e poi pale e picconi per scavare le trincee, costruite anche con sacchi di juta fatti con la canapa venduta dagli inglesi.

Per quanto riguarda il rancio – abbiamo scoperto – il soldato sulla carta aveva diritto a 700 grammi di pane, 450 di carne e verdure, ma di fatto spesso doveva accontentarsi di una sorta di brodaglia distribuita una volta sola al giorno, di solito la mattina alle 5 prima di andare a dormire, visto che le compagnie erano attive soprattutto la notte. A differenza dell’acqua potabile, l’alcool nelle zone di guerra veniva distribuito generosamente per alterare lo stato mentale dei soldati prima di mandarli all’assalto.

E l’assalto come si svolgeva?

Dopo aver ricevuto i rifornimenti di munizioni, l’attacco vero e proprio da parte dei soldati era preceduto da colpi di artiglieria, cannoni e bombarde, che avevano varie funzioni e che permettevano, tra le altre cose, di preparare il campo all’assalto, rimuovendo eventuali barriere. L’arma principale del soldato era un fucile (di solito Carcano modello 91) di lunga

gittata, con un peso di 4,5 chili e una capienza di massimo 6 colpi. Le canne di questi fucili erano marchiate Terni o Gardone Val Trompia perché qui si trovavano le migliori miniere per l’estrazione dei materiali più adatti alla costruzione.

Il fucile non era però l’unica arma del soldato, che disponeva, in maniera limitata, anche di granate, difensive o offensive a seconda del loro fine, e in ultimo di baionette che potevano essere innestate sul fucile e usate come lancia.

Anche il freddo, però, uccideva i soldati, che d’inverno potevano morire assiderati, magari per le divise che rimanevano inzuppate giorni e giorni dopo la pioggia o per via dei chiodi di metallo degli scarponi (che sono conduttori).

Per quanto riguarda la propaganda e la comunicazione, Marini ha ricordato che in quegli anni non c’erano gli smartphone e che i soldati mandavano notizie dal fronte tramite cartoline prestampate, che non richiedevano francobolli e che erano controllate dalla censura, mentre le informazioni reali arrivavano attraverso passaggi di persone in licenza. I giornali pubblicavano vignette oppure immagini scattate dai funzionari del regio esercito, che sceglievano solo determinati    momenti, senz’altro non quelli in cui era evidente la sofferenza dei soldati o il degrado della guerra.

Durante la mattinata si è fatto anche riferimento al cambiamento della condizione femminile (nascono in questo periodo le figure delle portatrici carsiche e delle volontarie della Croce Rossa , , mentre molte donne sono assunte nelle fabbriche come operaie) e all’etimologia bellica di alcuni modi di dire, come “rompere le scatole”  o “girare le palle. 

L’incontro si è chiuso con alcune curiosità: Marini ci ha mostrato dei “lavoretti di trincea”, oggetti costruiti con materiali riciclati dai soldati come passatempo e spesso apprezzati anche dai nemici, e la bandiera italiana, che al centro presentava lo stemma della casa reale dei Savoia circondato da una cornice “azzurro Savoia”, colore scelto perché richiamava quello del mantello della Madonna. La stessa tonalità di azzurro che ancora oggi veste la nostra Nazionale di calcio.

Danish Malik, Matteo Marini e Robert Tonelli di 5T

Pubblicato da ilgiornalinogigli

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