Beni cammina da solo (ma la sua voce si fa sentire)

Beni cammina da solo (ma la sua voce si fa sentire)

È abbastanza scontato che si tratti di un prodotto amatoriale e che non ci sia da mettersi a discutere sulla qualità del montaggio o delle riprese, visto anche che è stato realizzato nel breve periodo di due mesi. La valutazione necessita,quindi, di uno studio più ampio e profondo, senza tecnicismi. Il lungometraggio vuole affrontare il problema dell’integrazione dal punto di vista di un ragazzo appartenente alla seconda generazione di una famiglia di immigrati albanesi. Al naturale processo adolescenziale che porta ad una certa ribellione e maleducazione di fondo, si aggiunge il disagio di non sentirsi accettati, il bisogno di emergere e di prevaricare anche attraverso atti espliciti di bullismo e di delinquenza.


Beni, il protagonista del lungometraggio, non scaglia sedie per divertirsi, non devasta aule per la sola gioia di farlo, ma per sfogare una rabbia interiore che non trova una canalizzazione positiva. L’amore per una ragazza, Lara, il bisogno di proteggere il fratello e la famiglia dal mondo sporco a cui si è avvicinato sembrano essere l’unica ancora di salvezza.

C’è redenzione per Beni? La società gli darà la chance che merita per aiutarlo a riemergere dai suoi sbagli? Se volete saperlo dovete vedere il film, io non intendo anticiparvi nulla. Ma questo posso affermare con sicurezza: ci vorrebbero molti più film di questo tipo, ci vorrebbe più coraggio in un mondo che sta diventando sempre più egoista, sempre più esclusivo, in cui devi essere bianco, bello, ricco e trendy per farti accettare; ci vorrebbero più Beni e la sua storia su cui riflettere, perché potrebbe capitare a tutti di restare da soli, ai margini, di sentirsi perduti. Potremmo essere tutti Beni un giorno, perché non abbiamo il giusto colore, la giusta religione o il giusto vestito. 

Mi è piaciuto come è stato affrontato il tema del bullismo, ovvero chiarendo che bullo è anche più debole e smarrito della sua vittima. L’amicizia è certamente il valore dominante della narrazione filmica: dalla figura dell’amica Beth, alias Sabrina Giorgi, che a mio avviso emerge per la sua performance convincente ed intensa, al personaggio dell’amico–vittima Leonardo, interpretato da Angelo Bagnato,  la cui relazione con Beni evolve durante tutto il film. I dettagli di repertorio sulle carrette del mare sono commoventi e significativi: una fotografia spietata e senza filtri di un mondo che non conosciamo, di una realtà durissima e crudele.

L’unica critica che si può muovere al film è la totale concentrazione della sceneggiatura sull’ambiente scolastico, dove si svolge solo una piccola parte della vicenda e lascia all’immaginazione dello spettatore le dinamiche delinquenziali esterne alla struttura del Gigli.  Resta perciò aperta la possibilità di nuovi progetti che portino in superficie altri aspetti, forse più crudi ed espliciti, di un mondo che è reale e concreto.

Mi ha divertito ascoltare i commenti ironici sulla nostra cadenza bresciana, quando guardiamo spesso film con protagonisti di altre regioni che reputiamo perfetti per il cinema.  Questa forte cadenza è una nostra caratteristica culturale che va accettata e amata  perché fa parte di noi. In un mondo che non accetta alcuna diversità e punta tutto sull’omologazione, sull’uniformità, mi è piaciuta l’alternanza di accenti, di colori, di identità, perché è una enorme ricchezza che dobbiamo imparare a valorizzare.  Conosco tantissimi Beni, più o meno integrati, più o meno soli. Dobbiamo imparare a camminare tutti insieme.

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Un grazie, dunque, al prof. Fausto Minelli, che con la sua prima cinematografica, nella serata del 20 dicembre 2019, ci ha offerto un’ulteriore occasione per riflettere su noi stessi e sul complesso intreccio di relazioni che costituisce il nostro quotidiano.

Carlo Visonà, 5D

Pubblicato da ilgiornalinogigli

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